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In un anno di molteplici film di Pinocchio, potrebbe essere stato necessario chiamare ufficialmente questo Pinocchio di Guillermo del Toro, ma è anche appropriato: la firma dell’autore messicano è dappertutto. Dagli elementi fantasy della storia alla somiglianza del protagonista con il mostro di Frankenstein, è ovvio cosa lo ha attratto al materiale, e la straordinaria maestria dell’animazione in stop-motion chiarisce perché avrebbe voluto raccontarla in questo modo. È una scelta naturale sia per il soggetto che per il mezzo, ed è possibile concentrarsi esclusivamente sull’abilità artistica e uscirne innamorato. Ma questa rivisitazione fa anche alcune scelte di adattamento chiave che cambiano radicalmente il modo in cui funziona la storia; quella che una volta teneva una lezione per i bambini, cioè i ragazzi, ora si rivolge ai genitori, cioè ai padri. Pinocchio è destinato ad avere un impatto per la pura forza del cinema, ma se l’emozione che ne scaturisce completamente potrebbe dipendere in parte dal fatto che lo spettatore si identifichi più come genitore o figlio.
Narrato dai toni pacati di Sebastian J. Cricket (Ewan McGregor), Pinocchio si apre con un prologo destinato alla tragedia. Nell’Italia dell’era della prima guerra mondiale, Gepetto (David Bradley) è felice, rispettato e devoto al suo adorabile figlio Carlo (Gregory Mann). Poi, in un colpo di sfortuna legato alla guerra, il ragazzo viene ucciso e il povero intagliatore si rompe. Passano gli anni, finché una notte, in preda alla furia dell’ubriachezza, Geppetto decide di riportarlo indietro. Abbatte il pino piantato in onore di Carlo (dove si era appena stabilito il narratore di cricket) e inizia a modellarlo in un facsimile di marionetta del suo bambino perduto. Borbottando che finirà il burattino domattina, sviene e, mentre dorme, appare Wood Sprite (Tilda Swinton). Dopo aver osservato l’uomo in lutto e aver avuto pietà di lui, evoca la vita nella creazione di Geppetto e incarica Sebastian (autoidentificato come “proprietario di casa”) di guidarlo sulla via della bontà. Quest’ultima parte è quella che tutti conoscono, ma le differenze nel modo in cui avviene sono importanti.
Sebastian J. Cricket nel Pinocchio di Guillermo del Toro
In questo adattamento, nessuno tranne il Wood Sprite voleva davvero che Pinocchio (Mann) vivesse: Geppetto si sveglia e scopre che il suo burattino è diventato un vortice gioioso e distruttivo ed è terrorizzato. Cricket accetta di essere la sua coscienza solo dopo che gli è stato promesso un desiderio per i suoi guai. Lo stesso Pinocchio è visibilmente rozzo, mostrando la sua alterità in un modo che lo stabilisce come parte del canone dei mostri di del Toro, e la gente del paese reagisce a lui con paura e rifiuto. Quando lo shock svanisce, tuttavia, tutti coloro che lo incontrano vedono Pinocchio per quello che potrebbe essere, piuttosto che per quello che è: una vacca da mungere per il connivente giostraio Conte Volpe (Christoph Waltz); un soldato indistruttibile per il Podestà fascista della città (Ron Perlman); e, per Geppetto, la seconda venuta di Carlo. Ma anche quando cerca di adottare quelle sembianze, sempre un’impresa di breve durata, il burattino non può essere altro che quello che è. Ciò che desidera più di tutto, ancor più che diventare un “vero ragazzo”, è essere amato e accettato.
Il viaggio della crescita morale, quindi, è davvero quello di Geppetto, e proprio come la storia originale esemplificava il cattivo comportamento nei ragazzi, del Toro punta gli occhi sui cattivi padri. Volpe e il Podestà ne sono due esempi, e non solo attraverso i loro rapporti con Pinocchio. Lo showman ha adottato una scimmia di nome Spazzatura (Cate Blanchett – sì, davvero), che, significativamente, è la parola italiana per spazzatura. Abusa di Spazzatura, sia fisicamente che verbalmente, cospargendo di elogi quel tanto che basta per trasformare la sua approvazione in una dipendenza. Podestà ha un figlio suo, Lucignolo (Finn Wolfhard), il cui nome diventa anche espressione della crudeltà dei genitori. Il prefetto fascista è esigente nel tentativo di modellare il figlio a sua immagine e somiglianza, un ideale a cui Lucignolo non potrebbe mai misurarsi anche se gli andasse bene. Sia Spazzatura che Lucignolo considerano Pinocchio, la pupilla degli occhi dei loro padri, con intensa gelosia, e le cicatrici delle loro relazioni genitoriali minacciano di consumarli.
Pinocchio e il Conte Volpe nel Pinocchio di Guillermo del Toro
L’ambiente diventa cruciale per questa lettura. Il fascismo come ideologia è presentato come una forma distorta di paternalismo, con l’Italia la “Patria” ei suoi cittadini maschi i suoi “figli”. Come il Podestà (un ex fabbro) dà forma a Lucignolo, così Benito Mussolini deforma il suo paese. Anche qui la religione è una presenza chiave: Geppetto e Carlo stavano lavorando all’imponente crocifisso della chiesa del paese quando il ragazzo morì e, fino all’arrivo di Pinocchio, rimase incompiuto. Il burattino ribelle è schierato per una critica sociale di qualità sia nell’arena politica che in quella religiosa, ma Gesù come simbolo è importante in un modo più sincero. A differenza del prete (come ci si rivolge ai preti, di nuovo?), è un figlio a cui le persone cercano una guida, e questo è in definitiva ciò che il film di del Toro insegna al suo pubblico. Un buon padre vede suo figlio non come qualcosa da cambiare secondo i propri desideri o desideri, ma come qualcuno da cui imparare e per cui, inevitabilmente, cambiare.
Questa, ovviamente, è una frazione di ciò che c’è da dire sul nuovo film di Del Toro. Premia i rewatch e ulteriori riflessioni, e probabilmente ci vorrà del tempo per uscire completamente dalla sua narrativa ingannevolmente semplice. Ma la propria esperienza nel momento dipende in parte da quanto fortemente ci si identifica con Geppetto e con le esplorazioni della morte e del dolore del film. Alcuni classificheranno Pinocchio un capolavoro profondamente commovente; altri una versione interessante, di ottima fattura e, in definitiva, dolce di un noto classico. Ad ogni modo, è un bel lavoro di uno degli artisti preminenti del cinema, ed è sempre qualcosa di cui essere grati.
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